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Disturbi depressivi
Quella che comunemente viene definita “depressione” è scientificamente riconosciuta come un disturbo dell’umore, unipolare, che può manifestarsi con una grande varietà di forme cliniche.
Secondo un approccio unidimensionale è possibile immaginare le possibili variazioni di tale disturbo come lungo un continuum che va dal normale sentirsi giu’ di tono al disturbo depressivo maggiore vero e proprio, dove i sintomi sono progressivamente piu’ numerosi e piu’ intensamente dolorosi dal punto di vista psichico.
Per poter effettuare diagnosi di disturbo depressivo maggiore devono essere presenti almeno 5 dei seguenti sintomi (di cui almeno uno dei sintomi deve riguardare l’umore depresso o la perdita di interesse o piacere), per un periodo non inferiore alle 2 settimane:
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Come è possibile notare, i sintomi sono sostanzialmente di quattro tipi diversi: fisici, emotivi, cognitivi e comportamentali.
Sono sintomi fisici il senso di affaticamento, i disturbi dell’attenzione e della memoria, il nervosismo, la perdita del desiderio sessuale, le forti variazioni di peso, il sonno disturbato, lo stordimento, la tachicardia.
Le emozioni tipiche sperimentate da chi è depresso sono la tristezza, l’angoscia, la disperazione, il senso di colpa, il vuoto, la mancanza di speranza nel futuro, la perdita di interesse per qualsiasi attività, l’irritabilità e l’ansia.
Sono sintomi comportamentali la riduzione o la totale estinzione delle attività quotidiane, l’evitamento delle persone e l’isolamento sociale, i comportamenti passivi, i tentativi di suicidio. Infine i sintomi cognitivi rimandano alla visione negativa e minimizzante ed alle aspettative spesso irrealistiche ed elevate che la persona depressa ha nei riguardi di se stessa, del futuro e degli altri nei suoi confronti. Ciò significa che chi ha concezioni negative di sé, del mondo e del futuro, amplifica gli aspetti negativi, si focalizza solo sui difetti e su ciò che non va e minimizza gli aspetti positivi e ciò che funziona (“Sono un fallimento!” “Mio marito non ha stima di me”,“Va tutto storto!”,“Non ho fatto niente di eccezionale, anche un bambino potrebbe esserne capace”).
Sono proprio questi atteggiamenti mentali a spingere l’individuo a mettere in atto dei comportamenti di evitamento e di autoesclusione sociale e lavorativa, pertanto la conseguenza piu’ logica e diretta è che la persona che vede le cose in questo modo non si dà affatto la possibilità di verificare se le cose stiano effettivamente così…oppure no.
Di certo con l’evitamento la situazione non può migliorare proprio perché questi comportamenti, riducendo la produttività lavorativa, il contatto con nuove esperienze e le attività ricreative, riducono anche la probabilità di provare emozioni piacevoli e di modificare le idee negative su se stessi, sul mondo e sul futuro. Il circolo vizioso si autoalimenta e crea le condizioni per il mantenimento dello stato depressivo in quanto impedisce alla persona di vivere esperienze gratificanti.
Il Disturbo Distimico, invece, rappresenta una situazione clinica depressiva tutto sommato non grave ma prolungata e ad andamento cronico.
Si caratterizza per la presenza di umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni e per un periodo di non meno di due anni.
Per poter essere diagnosticato un Disturbo Distimico, occorre essere rilevata la presenza di un minimo di due dei seguenti sintomi:
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I sintomi non devono essere la conseguenza di effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una droga di abuso, un farmaco…) o di una condizione medica generale (ad esempio l’ipotiroidismo).